Marzo 2016

Per la sezione IV Penale della Corte di Cassazione, in caso di omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, è configurabile la responsabilità amministrativa dell'ente, che non ha adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione dei reati presupposto.

Cass. Pen. Sez. IV, (ud. 17.12.2015) 21.01.2016, n. 2544

Reati colposi di evento e responsabilità amministrativa degli enti: compatibilità della non
volontarietà dell’evento lesivo con il finalismo della condotta previsto dall’art. 5, D. Lgs.
231/2001.

La sentenza in commento affronta la questione circa la compatibilità tra la non volontarietà dell’evento lesivo verificatosi, che contraddistingue i reati colposi di evento, con il finalismo previsto dall’art. 5 D. Lgs. 231/2001 ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente nel cui interesse o vantaggio il reato è stato commesso. La vicenda riguardava la morte di un dipendente di una impresa edile, il quale perdeva la vita a seguito delle lesioni gravissime subite in conseguenza di un incidente occorsogli alla guida di una autogrù di proprietà della stessa azienda. Nello specifico la vittima conduceva la suddetta autogrù verso l’uscita dal cantiere – posta in salita – quando, ivi sopraggiunto, arrestava la marcia del mezzo, il quale tuttavia, per un difetto di funzionamento del freno, iniziava a retrocedere fino a ribaltarsi nella scarpata retrostante.

Nonostante l’estremo tentativo di uscire dalla cabina di guida della autogrù oramai fuori controllo, il dipendente non riusciva a mettersi in salvo, venendo trascinato dal mezzo sul fondo della scarpata. Il Giudice di primo grado (Tribunale di Monza) condannava l’amministratore unico ed il direttore tecnico dell’azienda alla pena di anni 1 e mesi 10 di reclusione, dichiarandoli colpevoli del reato di cui all’art. 589, comma 2 c.p. (omicidio colposo con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), altresì condannando la società alla sanzione amministrativa pecuniaria di € 80.000,00.

Alla società era stato contestato l’illecito amministrativo di cui all’art. 5, lett. a) e b) D. Lgs. 231/2001 per il reato di cui all’art. 589, comma 2 c.p., commesso dai soggetti di cui sopra nel suo interesse ed a suo vantaggio, avendo questi ultimi omesso di adottare ed efficacemente attuare, prima della commissione del fatto, modelli organizzativi e di gestione idonei alla prevenzione dei reati della specie di quello poi verificatosi. Avverso la suddetta sentenza proponevano impugnazione entrambi gli imputati, nonché la società. Con sentenza del 14.05.2014 la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza impugnata. Contro la suddetta sentenza veniva proposto ricorso per Cassazione, deciso dalla sezione IV penale, la quale rigettava il ricorso, confermando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui si configura responsabilità amministrativa dell’ente, anche qualora ai soggetti di cui all’art. 5 D. Lgs. 231/2001, siano contestati reati colposi di evento. La sentenza in commento va ad affrontare il problema della “compatibilità tra fattispecie di reato caratterizzate dalla non volontarietà dell’evento ed il finalismo della condotta da cui scaturisce la responsabilità dell’ente”. Per la soluzione della questione, la Suprema Corte parte dall’analisi dei concetti di interesse e vantaggio individuati dall’art. 5 D. Lgs. 231/2001. 

Nel fare ciò la sentenza prende le mosse da un’altra precedente pronuncia delle Sezioni Unite, la n. 38343 del 24.04.2014, relativa al tristemente noto caso della morte sul lavoro dei sette lavoratori della Thyssen Krupp, la quale – tra i vari punti affrontati – aveva affermato che i concetti di interesse e vantaggio, nei reati colposi di evento, vanno necessariamente riferiti alla condotta e non all’esito antigiuridico dell’evento.

Nell’aderire a tale interpretazione delle Sezioni Unite, la sentenza va infatti ad affermare che essa rappresenta l’unica “che non svuota di contenuto la previsione normativa e che risponde alla ratio dell’inserimento dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose nell’elenco dei reati fondanti la responsabilità dell’ente”. 

Tutto ciò appare condivisibile, rilevato che diversamente – facendo riferimento all’esito antigiuridico dell’evento nei casi di non volontarietà – è evidente che verrebbe meno il vincolo finalistico di cui all’art. 5 D. Lgs. 231/2001 e di conseguenza la configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente, di tal che risulterebbe del tutto privo di significato l’inserimento da parte del Legislatore dei delitti di omicidio colposo e lesioni colpose nel novero dei reati-presupposto. È evidente che non risponde all’interesse della società, o non le procura certamente un vantaggio, la morte o le lesioni riportate da un suo dipendente (l’esito antigiuridico dell’evento), causate da violazioni di norme antinfortunistiche, diversamente è di sicuro vantaggioso per l’ente conseguire un risparmio di costi derivante dall’omissione di investimenti necessari per adeguarsi alla normativa prevenzionistica (condotta), con violazione di quest’ultima e conseguente causazione dell’infortunio. Ulteriormente la sentenza, sempre in ordine ai concetti di interesse e vantaggio, giunge ad affermare una netta distinzione tra essi, rilevando come, in relazione al primo, si debba far riferimento ad una valutazione antecedente alla commissione del reato presupposto, mentre in relazione al secondo, debba effettuarsi una valutazione ex post.

Alla luce di tale distinzione, si configurerà il requisito dell’interesse dell’ente, qualora il soggetto agente abbia consapevolmente posto in essere una condotta in violazione delle norme prevenzionistiche, finalisticamente orientata al conseguimento di un risparmio di costi, pur non volendo l’evento morte o lesioni del dipendente. Diversamente – sempre in carenza di volontà dell’evento lesivo – ricorrerà il requisito del vantaggio, nel caso in cui lo stesso soggetto abbia violato le norme prevenzionistiche, non nel consapevole e preordinato intento di contenimento della spesa, ma in conseguenza di una disattenta condotta in materia di sicurezza del lavoro, che abbia comunque permesso all’azienda di conseguire un oggettivo vantaggio economico.

In forza di tali considerazioni, il criterio di vantaggio così inteso, ovverosia quale risultato di una valutazione ex post rispetto al verificarsi dell’evento, rappresenta la connessione di maggior forza tra illecito ed ente, così che anche in caso di non volontarietà dell’evento lesivo, proprio in virtù di tale collegamento, è correttamente configurabile la responsabilità dell’ente medesimo. In ipotesi di reato colposo di evento, pertanto, ai fini di una corretta valutazione in merito alla configurabilità della responsabilità amministrativa dell’ente, dovrà effettuarsi un concreto accertamento circa le modalità di svolgimento del fatto e verificare se la violazione, che ha determinato l’evento lesivo, rispondesse ex ante ad un interesse dell’ente, o abbia reso possibile a quest’ultimo ottenere comunque un vantaggio economico, indipendentemente da un finalismo preordinato del soggetto agente, volto al conseguimento di un beneficio economico per l’ente stesso. 

Di fatto l’azienda che risparmia risorse finanziarie non investendo, o addirittura tagliando la spesa, in materia di prevenzione, nel caso in cui si consumi un reato a seguito di violazione della normativa prevenzionistica, si vedrà contestata la responsabilità ex D. Lgs. 231/2001, con applicazione delle relative sanzioni.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto che il Giudice di merito avesse correttamente motivato la decisione, avendo rilevato che nel corso dell’istruttoria dibattimentale era emerso che la violazione della normativa prevenzionistica era stato il frutto di una consapevole scelta di politica aziendale, finalizzata ad un risparmio di costi in materia di sicurezza e pertanto attuata nell’interesse ed a vantaggio dell’ente, che non aveva nemmeno adottato alcun modello di organizzazione e gestione finalizzato alla prevenzione degli infortuni sul lavoro.

La decisione in commento, è il caso di osservare, conferma l’interpretazione che altre precedenti pronunce, sia di merito che di legittimità, avevano offerto sul punto, ribadendo – pertanto – la configurabilità della responsabilità delle aziende ex D. Lgs. 231/2001, in caso di commissione di reati (presupposto) colposi di evento, quali l’omicidio colposo o le lesioni personali colpose, commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (cfr. Trib Trani, 11.01.2010; Trib. Tolmezzo, 23.01.2012; Trib. Torino sez. I, 10.01.2013; Cass. pen. Sez. V, 28.11.2013 n. 10265; Cass. pen. Sez. Unite, 24.04.2014 n. 38343). In considerazione di ciò è opportuno per gli enti sottoposti all’applicazione del D. Lgs. 231/2001, al fine di non vedersi contestata alcuna responsabilità, attenersi scrupolosamente alla normativa prevenzionistica, investendo le risorse finanziarie adeguate al fine di garantire un idoneo livello di sicurezza ed adottando modelli organizzativi di gestione e controllo, vigilando altresì sul loro effettivo funzionamento ed osservanza.

 

 

 

Avv. Michele Bartoli
m.bartoli@beconcinibartoli.eu